Behind the Mesh

Trame leggere per città resilienti: l’eredità di Frei Otto e la sfida di i-Mesh

Sotto le tesate più iconiche della storia dell’architettura, nel Padiglione che Frei Otto elesse come manifesto di un approccio diverso all’ecosistema e al progetto, si è svolto il programma di celebrazioni FREI OTTO 100 – The spirit of lightweight construction.

All’Università di Stoccarda, Frei Otto fondò nel 1964 la "Terza Scuola di Stoccarda" con l'Istituto per le Strutture Leggere (IL), dove studenti provenienti da tutto il mondo si riunirono sotto la tenda che lui e i suoi colleghi progettarono come studio preliminare per il Padiglione Tedesco all'Esposizione Universale di Montreal del 1967.

A Frei Otto venne assegnato postumo il Premio Pritzker, e la sua eredità intellettuale appare oggi di ispirazione per le frontiere tecnico-progettuali e per la responsabilità contenuta in questo approccio.

A questa legacy ILEK è rimasto fedele rispetto alla ricerca dei principi della costruzione leggera, ed è oggi impegnato nell’esplorazione dei limiti e delle possibilità che l'edilizia efficiente offre in termini di risorse e sintesi multimateriale, costruzione e pensiero analitico. Con l'edificio che ha accolto le celebrazioni – noto come la "Tenda" - continua ad affascinare non solo per i suoi numerosi modelli e arredi storici, ma per la presenza di oggetti sperimentali degli ultimi decenni. Niente di più coerente, dunque, che riunirsi in quel luogo speciale in occasione del centenario della nascita di Frei Otto per discutere – a partire dagli amati modelli - di edilizia leggera, ricerca e teoria, scienza ambiente e cambiamento climatico, tecnologia delle costruzioni.

La densità e l’ampiezza delle questioni ha portato a Stoccarda testimoni ed esperienze originali e trasversali che hanno esteso e onorato la ricchezza delle intuizioni di Frei Otto - un architetto visionario e innovativo, maestro delle strutture leggere, precursore di molte delle sfide odierne che l’architettura e l’ingegneria si trovano ad esplorare.

Tra le storie peculiari che hanno arricchito il panel di partecipazioni internazionali quella di i-Mesh, raccontata dal suo visionario fondatore – Alberto Fiorenzi.

“La mia formazione è legata all’architettura navale, al design di barche a vela. Ero a Valencia nel 2003-2007 e lavoravo per i teams di Coppa America. A quel tempo le vele erano fatte di filamenti di carbonio e kevlar: è stato lì che ho visto quei materiali applicati a una facciata quando Renzo Piano scelse di rivestire la base di Prada con vele esauste. Una scelta tematica perfetta e un’estetica interessante. Io che producevo vele, esperto di materiali compositi e di design sposato all’architettura, ho visto in quella applicazione un grande potenziale. La storia comincia così, da una visione che ha richiesto subito ricerca teorica e applicata, e quindi relazioni stabili con l’accademia” – racconta Alberto Fiorenzi.

Lo studio della fisica, delle forze e delle resistenze, del comfort urbano in relazione al surriscaldamento globale approda dapprima all’Università di Camerino-Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno e in altri centri di ricerca – IUAV di Venezia, Politecnico di Milano, Università di Roma. E poi Berlino, Monaco, Dubai, Abu Dhabi, Tokyo. Si susseguono e si intrecciano le relazioni con ricercatori, studenti, dottorandi, PhD, lecturers durante workshops, lezioni, seminari tecnici. Fino all’incontro con ILEK, con  Werner Sobek e Lucio Blandini.

“In questa ricerca ci siamo interrogati sul tipo di architettura più congeniale, sui riferimenti irriducibili. E così mi sono ritrovato in alcuni concetti degli architetti radicali degli anni ‘60 e ‘70 uniti ad un trattato di Kengo Kuma degli anni ’90. Ho capito così che quello che la direzione giusta era l’idea di “architettura morbida - prosegue Fiorenzi.  

L’architettura morbida poggia sull’idea di Softness – che è anche il titolo di un docufilm sull’epopea del materiale. Un materiale è soft quando progettazione, produzione, utilizzo e smaltimento hanno un impatto leggero, prossimo allo zero, sul contesto, l’ambiente, le persone, le comunità. Che significa anche minima impronta CO2. Un materiale soft consente un livello di personalizzazione elevato che diventa modello di business e sviluppo della cultura d’impresa, presupposto di un processo che mentre accorcia la catena commerciale di vendita, allarga le catene del valore e della reputazione.

“Una delle implicazioni principali di questo approccio – spiega Fiorenzi - è la dimensione residuale del magazzino, nessuna obsolescenza e nessuno smaltimento di prodotti invenduti. Rispetto delle risorse e zero sprechi. Naturalmente la mancanza di standardizzazione seleziona i mercati di sbocco i progetti e le committenze, orienta l’utilizzo di materie prime e colori naturali che permettono di ridurre fino ad azzerare il consumo d’acqua”.

La produzione personalizzata e in tempo reale on demand, definisce l’organizzazione e l’identità sartoriale dell’azienda, gli investimenti nel capitale umano, la costante modernizzazione cognitiva - tecnica e creativa - legata alla performance e al pattern, i processi di ricerca a monte della produzione. Progettare materiali personalizzabili, e quindi unici, accresce competenza, consapevolezza, cultura tecnica del materiale.

Così la porosità che contraddistingue le tante tradizioni delle Masharabiya, degli Jali, delle Gelosie diventa il campo di gara di una capacità progettuale legata agli interni – per divisori, soffitti, separatori - e agli esterni rispetto alla sfida di proteggere dall'eccessiva radiazione solare.

In ogni cultura progettuale con la porosità si controllano le prestazioni delle superfici e si garantiscono profili elevati di comfort urbano e ambientale, ma allo stesso tempo si sperimentano citazioni e innovazioni sul pattern, talvolta risultato di superfici sottoposte a carichi di tensione puntuali. In quelle occasioni memoria, estetica e funzione originano risultati sorprendenti, come accaduto al Dubai City Shading System o a qualsiasi superficie poligonale tesa dagli angoli.

Le superfici porose - una riproposizione high tech di pratiche artigianali millenarie - sono interfaccia dinamiche, dispositivi fluidi che favoriscono la circolazione dell’energia e il controllo del clima, trame di citazioni e dialoghi tra le forme, vettori culturali cari agli esseri umani di tutte le civiltà.

“L'uso di superfici porose è antico quanto l'umanità. Questi reperti dell'architettura vernacolare che hanno identica funzione e nome diverso in ogni parte del mondo permettono di rinnovare le nostre ataviche abitudini comportamentali – conclude Fiorenzi. Sono dispositivi passivi che controllano la visione, la privacy, la luce, il calore, la ventilazione e i carichi del vento. L’antropologia poi ci insegna come il loro impatto sugli esseri umani vada oltre la fisica per entrare nella sfera dell’iconografia, della neuroscienza e della psicologia”.

Cristiana Colli
AUTORE
Laurea in Scienze Politiche, giornalista, ricercatore sociale, cura l’ideazione e l’organizzazione di progetti culturali, eventi, mostre, festival, programmi di valorizzazione. Per istituzioni pubbliche e private, musei, imprese, fondazioni realizza e promuove strategie di comunicazione sociale e culturale legate al paesaggio, all’architettura, all’arte contemporanea e al design, alla fotografia, al made in Italy. È direttore della rivista Mappe, e dal 2011 è ideatore e curatore di Demanio Marittimo.Km-278.
Cristiana Colli
AUTHOR
Laurea in Scienze Politiche, giornalista, ricercatore sociale, cura l’ideazione e l’organizzazione di progetti culturali, eventi, mostre, festival, programmi di valorizzazione. Per istituzioni pubbliche e private, musei, imprese, fondazioni realizza e promuove strategie di comunicazione sociale e culturale legate al paesaggio, all’architettura, all’arte contemporanea e al design, alla fotografia, al made in Italy. È direttore della rivista Mappe, e dal 2011 è ideatore e curatore di Demanio Marittimo.Km-278.